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Scuola dell'infanzia: avvio alla lettura E-mail
Docenti - Formazione e aggiornamento
Giovedì 23 Dicembre 2010 15:03
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lettura, scuola dell'infanzia"Ali in volo" è il titolo di una pubblicazione molto interessante e scaricabile liberamente, sul tema da sempre controverso dell'avvio alla lettura nella scuola dell'infanzia.
Inizialmente uno scolaro deve imparare ad attribuire un suono a ciascuna delle lettere dell’alfabeto. Ebbene, se in una prima fase l’insegnante si limitasse a usarne solo alcune, scelte opportunamente e scritte soltanto in stampatello, forse – grazie al ridotto impegno mnemonico – gli alunni potrebbero trovare giovamento

Un bambino ai primi approcci scolastici viene ad essere investito da tutta una serie di problemi di carattere mnemonico, che possono determinare difficoltà spesso apparentemente insormontabili, da cui frequentemente derivano problemi psicologici di vario tipo, quali ansia, apatia, depressione e sensi di colpa; quasi sempre interpretati dagli adulti come svogliatezza, disinteresse, pigrizia ecc.


Tra le principali difficoltà ricordiamo quelle relative all’aritmetica, quali la memorizzazione delle cifre numeriche e del modo di rappresentare i numeri naturali maggiori di nove; a cui col tempo si aggiungeranno quelle connesse con i primi calcoli additivi e, più in là, con le prime moltiplicazioni, che comportano la necessità di apprendere la tabellina pitagorica.

Tutte queste difficoltà possono dar luogo a forme di discalculia. Inoltre esse sono certamente aggravate da difficoltà di tipo mnemonico connesse con l’apprendimento della lettura e della scrittura, a prescindere dalla presenza o meno di problemi di dislessia/disgrafia. Perciò si capisce che è estremamente importante calibrare e diluire nel tempo le varie difficoltà, adottando metodologie che consentano allo scolaro di percorrere in maniera meno affannosa la meravigliosa – ma nello stesso tempo ardua – scala della conoscenza.

“Vari studi hanno stimato l’insuccesso nella lettura” scrivono I. Y. e A. M. Liberman in [4] “attorno al 20-25% della popolazione scolastica (Stedman e Kaestle, 1987) […] le opinioni sono divise sulle possibili cause e sui modi più idonei a risolverlo”.

Quindi i Liberman passano al confronto tra i due più importanti metodi per affrontare il problema: quello Globale e quello Alfabetico. “[…] Il Metodo Globale” essi ci ricordano “parte dalla premessa che apprendere a parlare e apprendere a leggere siano due casi interamente comparabili di sviluppo linguistico. Il Metodo Alfabetico, d’altra parte, ritiene che il linguaggio orale e la lettura seguano percorsi evolutivi fondamentalmente diversi. […] l’acquisizione del linguaggio orale non richiede alcuno sforzo particolare. D’altra parte” proseguono i due studiosi “un sistema di scrittura è un artefatto, un codice secondario dal punto di vista biologico, che rappresenta il linguaggio naturale in forme che devono essere comprese in modo consapevole, se esso deve essere usato correttamente. […] noi supponiamo che apprendere a parlare sia, per la natura stessa dei processi sottostanti, molto simile ad imparare a camminare, […] mentre imparare a leggere e scrivere è più come apprendere la matematica […]”.

Secondo il metodo globale, nell’insegnare a leggere e a scrivere si dovrebbe tendere a far acquisire al discente – proprio per l’analogia che c’è, per i sostenitori di quel metodo, con l’apprendimento del tutto naturale del linguaggio orale – ciascuna parola nella sua interezza, senza spezzettamenti in segmenti astratti e innaturali, quali possono essere – per i globalisti – le varie sequenze di lettere dell’alfabeto; perciò per loro il metodo alfabetico andrebbe bandito. Però ciò non può significare che il bambino non debba acquisire consapevolezza dell’aspetto alfabetico della lettura/scrittura.

Quello che viene contestato dai globalisti è il percorso che va dall’alfabeto alla parola; infatti, l’acquisizione diretta delle abilità di lettura e di scrittura non dovrebbe richiedere – a loro modo di vedere – alcuno sforzo, se soltanto venissero usate alcune precauzioni elementari (si veda [1]).

Tuttavia quelle precauzioni, lo diciamo ancora con le parole dei Liberman, al cui articolo rinviamo per gli opportuni approfondimenti: “persone sensibili come le nostre nonne le avrebbero considerate delle ovvietà”. Infatti, per lo più sono precauzioni che risulterebbero utili in ogni attività didattica, quali: servirsi di insegnanti motivati, di ambienti didattici che siano stimolanti per gli alunni, di una collaborazione gioiosa da parte dei genitori ecc.

D’altro canto, sul versante del metodo alfabetico, ognuno di noi normalmente avverte che nel pronunciare la parola “cane” emette due suoni che interessano due parti diverse del palato: “ca” - “ne”; suoni che non hanno alcun significato, se presi singolarmente, ma che entrano in gioco – ad esempio – anche nella “costruzione” di altre parole ben note, quali: “casa”, “nero”, “neve” ecc. Un po’ come i blocchetti del lego vengono adoperati dai bambini per realizzare delle costruzioni, senza che nessuno si sogni di dire che quei blocchetti sono da bandire in quanto astratti, non essendo direttamente collegati a un significato immediato.

Però quelli delle nostre parole, più che “blocchetti” di tipo sillabico – come l’esempio potrebbe far credere – sono assemblaggi di lettere dell’alfabeto che noi chiameremmo poli-fonemici (secondo una definizione, un fonema è un’unità differenziante – si pensi ai due fonemi che differenziano “pane” e “cane” –, indivisibile e astratta di un sistema linguistico. Infatti nel suono/fonema della lettera “p” – che nella parola “pane” è intimamente connesso col suono/fonema della vocale “a” – non emerge la presenza di due suoni più semplici – indivisibilità del fonema; inoltre, un fonema ha carattere astratto, dato che generalmente esso non è direttamente riconducibile a qualcosa di concreto), dato che i singoli suoni emessi mentre si pronunciano le varie parole, sono la saldatura dei fonemi che compongono ciascun suono; a meno che il fonema non si riduca a una sola vocale. Per esempio, aprendo due volte le labbra per pronunciare la parola “mamma”, noi emettiamo due suoni quali “ma” e “mma”, che non esprimono due sillabe – dato che la suddivisione sillabica è data da: “mam” e “ma” – bensì due poli-fonemi.

Il contrasto molto acceso tra i precedenti metodi, ha portato a considerne altri, detti misti, che con alterne fortune hanno cercato di mediare tra gli altri due, descritti precedentemente in maniera abbastanza succinta.

Noi, non potendo approfondire qui la vasta problematica sull’argomento, ora non intendiamo sposare in modo deciso nessuno dei metodi adesso in voga; ma ci limiteremo a proporre – senza pretesa di originalità – un’impostazione, che faciliti il più possibile l’acquisizione delle abilità di lettura e di scrittura, a partire dalla scuola dell’infanzia. A tal fine nella prima parte cercheremo di sminuzzare le difficoltà che gli scolari incontrano in questo arduo compito, limitandoci a usare le vocali A, E e la consonante L. Già dopo questo primo avvio anche per le famiglie sarà facile collaborare nell’addestramento alla lettura dei loro piccoli, con i tempi più adatti a questi, senza difficoltà e senza afflizioni.

Infine, la presa di coscienza della sequenzialità delle lettere che si susseguono in una parola potrà essere resa più naturale – attenuando l’assillo della rappresentazione scritta da sinistra verso destra – componendo le parole anche mediante l’alfabeto manuale dei segni; i quali si dipanano nel tempo come i fonemi del linguaggio orale. Il che – in un approccio giocoso – può aiutare a contrastare l’eventuale astrattezza di cui parlano i partigiani del metodo globale.


Scarica il PDF con il saggio completo.

 

Fonte: Education 2.0

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