Le domande di Giancarlo Cerini ai docenti di scuola media Stampa
Opinioni - Scuola
Giovedì 03 Settembre 2009 20:27

Leggo sempre con profondo interesse gli interventi dell'isp. Giancarlo Cerini, che in un paio di occasione ho avuto il piacere di ascoltare dal vivo, in occasione di convegni. Sono contributi di altissimo spessore e sempre calati nella realtà e nella prassi, grazie alla grande esperienza maturata "sul campo".
In questa occasione Cerini si interroga sul reale ruolo della scuola media oggi e termina il suo intervento proponendo quattro domande a cui è possibile rispondere direttamente all'interno di Education 2.0.
Ma non vorrei togliere ulteriore spazio alla lettura dell'articolo di Cerini, che allego per intero.

Che cos'è la scuola media? È davvero l’anello debole del nostro sistema educativo?

Un’immagine che fa discutere - Della nostra “cara” Scuola Media si è detto ormai tutto e il contrario di tutto. È stata definita, variamente:
- l’anello debole del nostro sistema educativo, con allievi che invece di incrementare i loro livelli di conoscenza sembrano retrocedere, rispetto alla scuola primaria;
- un’esperienza che non riesce a incidere positivamente sulle condizioni sociali dei ragazzi, cosicché a 14 anni oltre un terzo si diploma con appena “sufficiente” (ora trasformato in 6 “rosso”) e imbocca la strada dell’istruzione professionale, se non della dispersione;
- un luogo consacrato a una didattica centrata sui contenuti disciplinari, non in grado di reggere la sfida delle “competenze”, cui i 15enni sono chiamati l’anno successivo dai severi test dell’Ocse-Pisa;
- un percorso formativo transeunte, troppo breve per lasciare una traccia in una età della vita (la pre-adolescenza) essa stessa in veloce e acerba trasformazione.


È pur vero che la scuola media, scuola di mezzo, è da molti anni alla ricerca di una sua incerta identità, attratta dalla scuola superiore (il piano alto della “secondaria”), ma poi richiamata alla comune appartenenza alla scuola di base (il c.d. “primo ciclo” dell’istruzione). L’alternarsi di diverse denominazioni (scuola – di volta in volta – media, secondaria I grado, del primo ciclo, di base) suggella questa sindrome pirandelliana, nella non risolta ambiguità della sua secondarietà – di accesso ai saperi formali e al pensare per modelli – o di completamento della formazione primaria, quindi di consolidamento dell’alfabetizzazione strumentale. Con, in più, la spada di Damocle dell’anatema dei ragazzi di Barbina contenuta nella “Lettera ad una professoressa”, di oltre 40 anni fa: “Cara signora, lei di me non si ricorderà nemmeno il nome…”. Una ferita ancora da sanare.
Qualche evidenza - Ci sono però dei dati che fanno pensare:
- la percentuale di insuccesso coinvolge quasi il 40% dei ragazzi, con insufficienze diffuse nelle discipline fondamentali;
- le differenze di ceto, di cultura, di territorio si fanno sentire pesantemente, con una vistosa frattura Nord-Sud confermata da tutte le rilevazioni nazionali e internazionali;
- l’età media degli insegnanti è la più elevata tra tutti i gradi scolastici;
- i modelli organizzativi sono ormai datati, quasi immutabili da trent’anni, con una frammentazione di discipline e una eccessiva presenza di docenti (almeno 9 figure che si alternano in una classe);
- il tempo scuola è rigidamente distinto tra un orario tutto-antimeridiano e un tempo-prolungato presente qua e là (mentre manca una scelta coraggiosa verso tempi opzionali e facoltativi per i ragazzi).
Nei prossimi mesi, la scuola media dovrà misurarsi con il nuovo modello organizzativo previsto dal recente Regolamento di riordino (Dpr 20 marzo 2009, n. 89), che però non sembra una risposta risolutiva alle tante questioni aperte, nonostante le buone intenzioni dell’Atto di indirizzo che accompagna l’emanazione del decreto.
Una scuola che non accetta i nuovi “barbari” - Al di là dei casi esemplari, che pure ci sono, l’attuale scuola media non sembra in grado di intercettare le caratteristiche “nuove” dei suoi allievi, questi nuovi “barbari” (Baricco) che ondeggiano velocemente, ma anche superficialmente, su una quantità sterminata di linguaggi, codici, tecnologie, gadget… Appena usciti dal cono d’ombra dell’infanzia e già attratti dai riti del consumo, ipnotizzati dal conformismo del gruppo, alla ricerca di una loro visibilità, inquietanti nella loro mancanza di sensi di colpa (Galimberti). Con modelli di riferimento familiari sempre più labili e incerti, tutt’al più “amicali”. Insomma un gruppo difficile da gestire in classe, seppure portato a grandi slanci e voglia di fare, desideroso di sentirsi importante, riconosciuto, capace di fare cose (dunque, competente). La sfida si gioca in classe, è ormai chiaro. Ma con quali strumenti? E operando quali scelte?
È tempo di un dibattito fuori dagli schemi - Proponiamo, allora, un primo grappolo di domande, per stimolare ulteriori interventi:
a) sono auspicabili modifiche strutturali all’attuale ordinamento della scuola secondaria di I grado (es.: durata quadriennale, fusione con le elementari, raccordo più stretto con il biennio obbligatorio ecc.) o è più opportuno intervenire nelle condizioni dell’insegnamento (orari, discipline, programmi, cattedre, metodi ecc.)?
b) come giudicare l’esperienza dell’istituto comprensivo che riguarda ormai oltre i 2/3 delle scuole medie? È riuscito a diventare un modello organizzativo efficace? La formazione degli allievi è migliorata? I docenti dialogano meglio tra di loro? I genitori sono soddisfatti? Insomma: cosa si perde e cosa si guadagna a diventare “comprensivi”?
c) è utile intensificare i momenti di valutazione (prove d’esame strutturate, prove oggettive Invalsi, uso dei voti ecc.) per stimolare il confronto e quindi migliorare i risultati dei ragazzi e promuovere una didattica più innovativa?
d) come coniugare il “peso” tradizionale delle discipline, ma anche il loro valore “formativo”, con l’esigenza di coinvolgere di più i ragazzi, di motivarli verso esperienze di studio e ricerca, di farli incontrare con una scuola da “vivere”?

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